Con padre Gherardo e Lidia Speroni, accompagnatrice, educatrice, collaboratrice.
Come è entrata in contatto con la Casa del Fanciullo?
“Correva il 1976 ed ero allora una giovane insegnante di scuola elementare (oggi scuola primaria) quando scelsi d’unirmi al corposo gruppo di volontari coordinato dalla Caritas diocesana per portare assistenza in Friuli. L’area era da poco stata colpita da un terribile terremoto e, fino al 1977, a periodi alterni, prestammo servizio a Pradielis, paese gemellato con la diocesi piacentina. A seguito di quell’esperienza e per non disperdere, ma anzi valorizzare la ‘ricchezza’ rappresentata da noi volontari, il Vescovo Manfredini ci convocò sollecitandoci, con altri, a proseguire l’impegno sul nostro territorio. Conobbi allora Lidia Speroni, coordinatrice di un gruppo che intendeva dedicare le proprie attenzioni ai bambini, come lei stava facendo da anni nella ‘Casa del Fanciullo’”.
Si riferisce alla prima collaboratrice di padre Gherardo…
“Sì, a quella stessa Lidia Speroni che tanta parte ha avuto nella nascita, crescita e gestione della Casa del Fanciullo che proprio quell’anno andava inaugurando il centro di Ivaccari. Poiché per professione avevo già a che fare con i bambini e ritenevo (come tuttora sono convinta) che l’infanzia sia un periodo fondamentale per l’educazione, mi è sembrato logico inserirmi nel gruppo da lei guidato. Non ci è voluto molto perché imparassi a stimare sinceramente Lidia e condividerne il grande affetto per la ‘Casa’”.
Quale attività svolgeva al suo interno?
“Mi sono resa disponibile ai compiti più vari ma, soprattutto nel mese di luglio, ero solita accompagnare e occuparmi dei bambini durante la loro permanenza a Carenno. Per anni le mie vacanze estive sono coincise con questo campo che era un’occasione unica per i bambini per godere dell’ambiente e dello stare in compagnia, ma soprattutto aiutarli, mentre erano liberi dagli impegni scolastici, a immergersi nella gioia della natura per dedicarsi al gioco, alle passeggiate, alle esperienze di collaborazione tra di loro e con gli adulti di riferimento. La vacanza di Carenno era programmata dalle medesime insegnanti della scuola, accompagnate e sostenute da tanti volontari che potevano arricchire, con la loro presenza e con l’offerta di esperienze varie, il periodo di permanenza. Momenti di beneficio anche per il corpo e la salute fisica di ogni bambino: non tutti i ragazzini avevano la possibilità di ‘cambiare aria e di sfuggire al caldo, anche allora afoso, della nostra pianura padana, e anche di questa la Cdf si è sempre fatta carico. Ma Carenno era anche un ristoro per lo spirito (una cura particolare era infatti dedicata ai momenti di formazione spirituale/religiosa). Così facendo il programma educativo perseguito durante l’anno scolastico veniva ampliato. In quelle occasioni ho rivestito i ruoli di volta in volta più necessari: quello di responsabile, di educatrice, e (avendo conseguito il diploma di ‘infermiera generica’) anche di infermiera. Spesso mi dedicavo ai ‘più terribili’, quelli che prima di capire se possono fidarsi devono metterti alla prova”.
Prove che certamente comportavano impegno e soddisfazioni
“Come ho cercato di dire, il soggiorno estivo era parte integrante del progetto educativo ed era per me un piacere dedicarvi del tempo. La CdF ha sempre perseguito l’educazione del bambino a ‘tutto tondo’, occupandosi di ogni aspetto della sua personalità. Sono state proprio queste attenzioni pedagogiche a conquistarmi. Ricordo gli ambienti ‘scarni’ della struttura che ci accoglieva, gli chalet che fungevano da aule scolastiche. Potevano apparire ‘poveri’ ma erano sempre ben curati, ordinati e ospitali, rallegrati da cartelloni e immagini che conferivano bellezza”.
Essenzialità, dunque, che nascondeva uno scopo d’amore…
“Un po’ come lo stesso padre Gherardo: voleva il meglio per i suoi ragazzi, ma il suo amore non era sdolcinato quanto piuttosto ‘esigente’, severo nella sua totale disponibilità. Da lui ho imparato tanto e spero di aver mutuato un po’ di quella dedizione anche per i bambini che seguivo come insegnante. Durante l’anno scolastico ho sempre partecipato ai momenti di riflessione che il Padre proponeva per insegnanti, educatori e volontari della scuola come dell’allora centro socio-educativo, oggi ‘Tandem’. Per anni ho continuato a frequentare la Casa almeno una volta alla settimana: preparavo i bambini per la Prima Comunione, ne accompagnavo qualcuno alle visite mediche o dentistiche, seguivo l’aggiornamento delle insegnanti accompagnandole a Milano ad incontri di carattere pedagogico”.
Fino a quando ha vissuto così intensamente la Casa?
“All’incirca fino al 1990, poi ho dovuto purtroppo diradare l’attività a diretto contatto con i bambini, limitandomi al ruolo di membro del Consiglio amministrativo della cooperativa di cui sono stata socia fondatrice. La Casa del Fanciullo mi ha dato tantissimo. Oltre all’affetto e alle soddisfazioni dei ragazzi ho sempre beneficiato di un ottimo rapporto di stima e collaborazione con i dipendenti, gli insegnanti elementari e gli educatori”.
Cosa pensa della Casa del Fanciullo oggi?
“L’ho vista con orgoglio diventare quella realtà d’eccellenza che oggi tutti conoscono e rispettano. Una presenza importantissima sul territorio piacentino che sa rispondere con capacità e sensibilità alle tante esigenze di ragazzi e famiglie in difficoltà…e non solo. Per operare in questi contesti servono persone preparate che, se da un lato si fanno carico del benessere fisico, psicologico, sociale e spirituale dei minori, dall’altro sappiano coinvolgere a dovere i genitori, renderli partecipi. Se solo avessi qualche anno in meno tornerei con tutto il cuore a fare volontariato alla Casa. Non c’è niente di più bello che stare a fianco di giovani e giovanissimi, sorreggerli nelle difficoltà, aiutarli, vederli crescere, camminare con loro incoraggiandoli ad amare la vita”.