La storia di Nicole Soncin: da Spino d’Adda a Piacenza per il bene dei ragazzi
Perché ha scelto di collaborare con Casa del Fanciullo?
“A Spino d’Adda, dove sono cresciuta, mia madre gestiva una cooperativa: a diciott’anni già lavoravo con i bambini e ho deciso d’iscrivermi a Scienze dell’educazione. È accaduto così che un tirocinio formativo nel 2018 mi portasse a Piacenza, dove ho fatto esperienza principalmente presso la comunità e, solo quasi alla fine del mio percorso, ho svolto delle ore presso il Tandem. Un anno più tardi proprio Tandem mi ha assunta come educatrice e, praticamente neolaureata, mi sono ritrovata con emozione ed entusiasmo ad operare otto ore al giorno con gli adolescenti: un’esperienza davvero appagante. E un ambiente in cui mi sono sentita accolta come non pensavo possibile. Se i primi due anni facevo ‘avanti e indietro’, col Covid ho deciso quindi di stabilirmi in pianta stabile a Piacenza. Un cambiamento non certo facile, ma per cui sono stati risolutivi i colleghi: una ‘seconda famiglia’ che ho imparato presto a chiamare casa”.
Quindi la pandemia è stata sprone a un vero e propria cambio di vita…
“Che stessi facendo ciò che amavo mi era chiaro, ma lo era quanto il fatto che le mie radici fossero altrove. Ancora giovane mi sono così ritrovata ad affrontare una situazione difficile. Durante il Covid gli educatori del Tandem si sono attivati per continuare a dare supporto ai ragazzi e, anche se in videocall, quel periodo complesso ci ha portati a stringere legami profondi e significativi. Fornivamo supporto scolastico, educativo e sociale, ma più di tutto eravamo loro intimamente vicini, pronti a sostenerli e consigliarli a 360°. Oggi alcuni di quei giovani hanno vent’anni e ancora continuo ad essere per loro come una sorella maggiore. Ci tengono a farmi sapere della loro vita, condividono con me i loro piccoli, grandi successi. La pandemia ha portato con sé un’intensa esperienza, legami e consapevolezze che mi hanno legato a filo doppio alla Casa, contribuendo di certo profondamente alla decisione di trasferirmi a Piacenza pur sapendo di andare incontro a sacrifici”.
Un lavoro che ama, dunque, ma che ha richiesto sacrifici.
“Si, non posso negare che i sacrifici non mancano: la distanza dalla famiglia, dagli amici, dal mio ragazzo (di Padova), un secondo lavoro come cameriera per arrotondare… E poi il ruolo di educatrice, che richiede più impegno e dedizione di quanto non si pensi. I ragazzi che seguiamo hanno vissuto e vivono problematiche complesse, che inevitabilmente ti toccano e lasciano il segno. Quando certe storie si vedono in televisione è una cosa, ma ascoltarle dalla viva voce di chi le ha subite è diverso: il rischio è che ti restino dolorosamente impresse. La nostra forza risiede allora nella squadra, nel lavoro d’équipe e nel sostegno reciproco, che permettono d’affrontare ogni situazione. Con i minori si tende a fare un lavoro a lungo termine dove la fiducia reciproca dev’essere alla base. Questo porta però a conoscersi meglio. Capita a tutti d’avere giornate difficili ed io ho sempre cercato di nasconderle ai ragazzi: ho sempre avuto l’idea che in quel momento io debba essere lì per loro, indipendentemente dalla mia vita personale. Non ne nego la difficoltà. Ma negli anni, così come noi impariamo a conoscere i ragazzi, è vero anche il contrario: notano qualcosa di diverso e ti chiedono come stai. In quel caso ho sempre cercato d’essere sincera, senza tuttavia che un mio problema possa in qualche modo ricadere su di loro, che vengono prima di tutto. Quest’anno, infine, ho avuto modo di lavorare anche alla comunità, così sperimentando e apprezzando l’essere educatrice sotto una nuova luce ancora”.
In che modo esattamente?
“Al tandem i minori li vediamo da lunedì a venerdì dopo scuola, in comunità i ragazzi vivono lì e quindi abbiamo uno sguardo a 360°. Il ruolo dell’educatore è quello di accompagnare i minori nel proprio percorso scolastico e di crescita come futuri membri attivi della società, badando alla loro salute (dal dentista all’oculista e così via), ma anche assicurandoti che facciano sport, si relazionino in modo pieno e corretto al prossimo. E questo significa anche abbigliamento dedicato, allenamenti cui accompagnarli, fare il tifo alle partite. Soprattutto dobbiamo essere presenti e predisposti all’ascolto, sempre. Il tutto interfacciandoci costantemente con genitori e assistenti sociali. C’è poi la piccola spesa di cui hanno bisogno, quel corso particolare, un consiglio sul vestiario o su scelte più importanti”.
Ad esempio?
“Anche solo l’istituto da frequentare dopo la terza media. L’anno scorso ho aiutato la maggior parte dei ragazzi del Tandem a fare progetti sul proprio futuro ed è al contempo una responsabilità e qualcosa di profondamente appagante. Non dobbiamo poi dimenticare che parliamo di adolescenti: un’età difficile. Quindi le discussioni, i litigi, i pianti, fanno parte della fase di crescita e il ruolo dell’educatore (in questo caso mi riferisco per lo più alla comunità) è quello di aiutarli. Soprattutto se le discussioni avvengono tra altri minori presenti in casa è fondamentale mediare con il dialogo affinché possano risolvere. L’educatore è del resto davvero un punto di riferimento per i ragazzi, ed è normale che ognuno identifichi quello con cui confidarsi, con cui parlare di scuola, di qualche problema con gli amici o delle prime cotte. Ancora una volta essere una squadra garantisce presenza, ascolto, possibilità di esserci quando serve e nel modo migliore”.
La cosa che preferisce fare con i ragazzi?
“Come educatrice ho avuto il privilegio di vivere con loro la casa vacanze, trascorrere insieme tempo di qualità, chiacchierare e condividere esperienze. Sono momenti preziosissimi. So di risultare talvolta un po’ ‘rompiscatole’ poiché li sprono e coinvolgo ad attività tra le più varie: dallo sport ai tornei, passando per il fai da te o certi lavoretti. Se all’inizio il risultato sembra lì da venire, basta tuttavia avere fiducia e le soddisfazioni non tardano ad arrivare. Alcuni da piccoli non hanno ad esempio vissuto la magia del luna park, del circo, l’emozione di una gita o il piacere d’un viaggio. Quando siamo riusciti a sopperire a queste mancanze abbiamo visto i loro volti illuminarsi e i cuori sciogliersi in gioia sincera. Qualcosa di unico e profondamente emozionante”.